16-19 aprile 2019
Tra il 15 e il 19 aprile si sono riuniti a Palermo più di 100 giovani italiani tra i 25 e i 35 anni provenienti da tutto il mondo. Gli scopi del seminario erano sicuramente molteplici: certamente creare una rete di professionisti italiani nel mondo per riportare in “patria” qualche competenze e progetto e contrastare la “fuga di cervelli”. (E che infausta espressione che perpetua la qualifica dei migranti del XIX e XX secolo quali semplici braccia, alla stregua della visione delle classi politiche dei paesi di arrivo del tempo…)
Non si tratta tuttavia di una mera rete globale di professionisti, un altro scopo esplicitato nell’introduzione del seminario è stato sicuramente quello di stimolare i giovani rappresentanti dei Comites di tutto il mondo ad occupare le cariche dei diversi organi di rappresentanza per sollecitare le istituzioni dei paesi di arrivo, come dell’Italia, a impegnarsi nella lotta per diritti sociali, economici e politici nelle comunità italiane all’estero nel paese di origine e in quello di immigrazione.
Moltissimi i giovani italiani di seconda, terza, addirittura quarta generazione venuti a Palermo per riscoprire - nell’incontro con altri italiani all’estero- la propria italianità in Italia, un’italianità spesso vissuta e costruita in paesi di immigrazione lontani come l’Argentina o il Brasile ad esempio.
Inviata in qualità più di osservatrice che da delegata, grazie alla generosissima disponibilità del Comites di Lugano/Bellinzona, non posso non ammettere di essere stata in realtà travolta dall’intensità dell’evento. Se lo stesso comitato organizzativo (CGIE) che lavorava alla preparazione dell’evento da una decina di anni, ha sin dal primo giorno sottolineato la soddisfazione e l’aspettativa d’esser riusciti ad arrivare a fare di tale incontro una realtà, d’altra parte i giovani delegati che si sono ritrovati a Palermo - chi per lavoro, chi per militanza, chi più per curiosità come me - hanno raccolto immediatamente la sfida lanciata loro dagli organizzatori aderendo alle attività con entusiasmo, impegno e dunque anche criticità.
Questi quattro giorni a Palermo, città che non può che testimoniare il sincretismo armonico di culture differenti, sono trascorsi tra conferenze a ateliers, in biblioteche, archivi, sale istituzionali e strade affollate a testimoniare la vitalità interculturale di questa regione Sicilia che ci ha accolto braccia aperte. Forse il momento più dinamico e interessante è stato quello della creazione di gruppi di lavoro, partendo dalle proposte degli stessi giovani che hanno immaginato progetti per rafforzare il sentimento di appartenenza e il legame con la madrepatria e dall’altro il progetto di lavorare a un miglioramento delle condizioni dei migranti all’estero.
I giovani professionisti e studenti che ho incontrato, sono i protagonisti di una differenziazione importante del flusso migratorio degli italiani negli ultimi decenni rispetto a quello che secondo dopoguerra. Il livello di formazione più alto e i settori qualificati che occupano oggi questi giovani, li differenziano sicuramente rispetto ai loro predecessori degli anni 50-70, conosciuti in Svizzera quali Gastarbeiter nel contesto della discutibile politica rotatoria. Un elemento importante che è emerso è dunque quello di creare dei ponti tra le nuove migrazioni e quelle più antiche, come anche rinsaldare i ponti tra le prime generazioni, con le seconde e le terze, ormai più integrate nei paesi di arrivo.
L’integrazione, ma soprattutto la percezione degli italiani in Svizzera non è tuttavia migliorata a partire dagli anni Novanta grazie a nuovi flussi più qualificati o alla mobilità sociale delle seconde o terze generazioni (Stolz, 1995).
La percezione dell’italiano all’estero non dipende infatti esclusivamente dalla sua personale integrazione e assimilabilità, ma soprattutto forse alla percezione della comunità autoctona.
Essa è influenzata innanzitutto dalla diminuzione relativa degli italiani all’interno dell’insieme degli stranieri residenti (54% nel 1970 vs 15% nel 2016), come anche ma anche dalla presenza di nuovi gruppi etnici percepiti come meno assimilabili: tendenza che si inserisce nella lunga tradizione e frame della lotta contro l’inforestieramento. A questi nuovi gruppi etnici per l’appunto vengono trasferiti i ruoli economici più svantaggiosi. Infine, un altro elemento che ha sicuramente modificato la percezione degli italiani all’estero, esula dalle trasformazione della comunità migrante in sé ma interessa maggiormente alcune dinamiche macro-sociali e le politiche economiche internazionali. Mi riferisco qui al lento percorso verso una maggiore uguaglianza a livello dei diritti e al miglioramento progressivo dello statuto del migrante italiano grazie innanzitutto agli accordi bilaterali del 1948, o a quelli del 1964 che miglioravano le condizioni di ricongiungimento familiare a causa del fabbisogno pressante di manodopera. A seguito della caduta del Muro di Berlino e alla necessità della Svizzera di avvicinarsi all’Europa, penso in secondo luogo all’ l’adozione del modello dei tre cerchi e alla possibilità a partire dal 1992 di mantenere la doppia cittadinanza. Anche nel 2002, quando viene abolito lo statuto stagionale all’origine di molti problemi sociali, si tratta dell’entrata della Svizzera nello spazio di libera circolazione e non di motivazioni legate alla politica d’integrazione. (Fibbi, 2011).
Nuovi giovani italiani, nuovi giovani migranti dunque, con gli strumenti per riflettere non solo sulla propria condizione, ma anche sulla storia di questo flusso migratorio di lunga data, e con l’energia di poter immaginare delle iniziative per portare avanti una battaglia per i diritti di cittadini e lavoratori mobili e per rinsaldare la propria identità con un’italianità arricchita da nuovi apporti interculturali.
Italianità. Difficile termine da comprendere, definire e utilizzare. Dal primo momento è infatti emersa chiaramente la difficoltà di definire questa cultura italiana senza cadere negli stereotipi.
Certo è stato un concetto utilizzato storicamente in varie maniere. Si veda a tal proposito l’articolo di Nelly Valsangiacomo per un’interessante sintesi sul tema nel volume collettaneo A l’italienne. Narrazioie dell’italianità dagli anni Ottanta ad oggi, 2018. L’italianità è stata infatti invocata per la creazione delle identità nazionali risorgimentali, ma anche dal regime fascista per scopi imperialisti… fino alla svolta degli anni Ottanta in termini di marketing internazionale con il celebre Made in Italy. Ma come distanziarsi dall’italianità quale mera marca di esportazione? come distanziarsi dagli usi che poteri politici ed economici hanno fatto di tale concetto? e al contempo uscire dalla gabbia di quegli usi e costumi facilmente riconducibili a semplici stereotipi di ricette e gestualità? Come malgrado tutto, descrivere e legittimare, la propria appartenenza culturale, l’uso della lingua, il proprio modo di vivere i legami sociali, la propria way of life?
Il seminario di Palermo ha permesso di porre anche queste domande, sempre in tensione tra quei due poli estremi di decadenza e crisi d’un lato, ed edonismo e creatività dall’altro tipici della percezione dell’Italia all’estero.
Personalmente, da giovane italiana nata in Svizzera, cresciuta in Ticino, di madre italiana e padre pakistano naturalizzato svizzero, non posso negare come le questioni identitarie abbiano da sempre rappresentato una reale sfida. Italiana fino all’età di dodici anni, acquisisco infine la nazionalità svizzera in mancanza di ius soli con la naturalizzazione di mio padre. Coniugare i frammenti e le molteplici appartenenze si è sempre rivelata una necessità impellente ma anche una tappa fondamentale per poter poi attivamente trovare la modalità di partecipazione attiva e la scala di azione in linea con i propri valori e le proprie possibilità di azione.
Ecco che incontrare tutti questi “strani italiani” dispersi nel mondo da più o meno tempo, mi ha infine permesso di legittimare quella cultura italiana nella quale sono cresciuta: dalla casa, come figlia di italiana, alla regione del Canton Ticino dove oggi lavoro come insegnante. E qui si aprirebbe una terza declinazione di quello che può essere l’italianità al di fuori dei confini italici e delle comunità migranti italiane.
I quattro giorni di Palermo sono trascorsi anche sotto il tam tam del fare rete. Termine fastidioso alle mie orecchie se lo scopo è semplicemente quello di collegare professionisti per sinergie di stampo economico o politico, termine di gran lunga più interessante se per rete si intende la possibilità di creare una comunità di persone e di intenti al fine di sensibilizzare al di là delle frontiere nazionali, istituzioni e società civili dei paesi di partenza e di arrivo, in merito all’acquisizione di diritti prima di tutto socio-economici ma anche politici. Diritti che si rivelano appunto tappe fondamentali per i processi di integrazione e di uguaglianza.
Se oggi l’immigrazione italiana è vista dai paesi di arrivo come una success history, dove l’italianità ha portato arricchimento culturale al di là dell’apporto in termini strettamente economici alle società di arrivo e partenza attraverso rimesse e rientri, non dobbiamo dimenticare che per giungere a tale risultato molte sono le generazioni di migranti che si sono susseguite tra razzismo e rientri forzati, molti i cambiamenti internazionali a livello politico ed economico che sono avvenuti, e soprattutto altre sono le comunità che hanno preso il posto dell’esotica minaccia di inforestieramento, “invasione”, o sleale concorrenza sul mercato del lavoro. I giovani italiani all’estero, in quanto portavoci di un flusso migratorio continuo e di lunga data, potrebbero con facilità prendere coscienza delle motivazioni che hanno condotto a tale evoluzione e per questo partecipare alla creazione di una coscienza collettiva, di una comunità di intenti in nome di una cittadinanza che si allarghi sempre di più al di là dei confini nazionali e che stimoli un senso di partecipazione e responsabilità condivisa.
In tale senso i delegati italiani della Svizzera si sono incontrati dopo Palermo in un clima innanzitutto amichevole, con la voglia di stare insieme e discutere il senso e il valore di una possibile rete elvetica che possa aiutare i nuovi italiani sul territorio svizzero ma che esuli dall’esclusività della propria italianità o da quella etichetta che è l’”expat”, questo al fine di creare ponti con altre comunità, prima fra le altre quella autoctona.
Ecco, la mia speranza è che questi giorni di Palermo possano essere l’inizio di nuove amicizie, progetti, movimenti per migliorare le possibilità di integrazione e partecipazione attiva- non solo per gli italiani ma per tutti i residenti di origine straniera– nelle nostre società sempre più interconnesse ma sempre più fragili e possibili prede di aggressivi populismi.
Saffia Elisa Shaukat - Locarno